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La
Vita di S. Antonio Abate |
Detto anche il
Grande, è il patriarca del monachesimo, famoso uomo di preghiera,
celebrato lottatore contro i demoni, guaritore di infermi e direttore di
anime. Nacque intorno al 250 a Coma (l’odierna Qemans), località
posta sulla riva occidentale del Nilo presso Eracleopoli, nel medio
Egitto, da una famiglia cristiana di floride condizioni economiche. Alla
morte dei genitori, avvenuta intorno al 270, Antonio, ancora
giovane, vendette le sostanze paterne, collocò la sorella presso pie
donne, assicurandole i mezzi necessari al sostentamento, e distribuì
infine ai poveri tutto quanto gli restava. Si ritirò in un luogo vicino
al suo villaggio per condurre vita eremitica, tutta dedita al lavoro,
alla preghiera e alla lettura delle Sacre Scritture, dapprima alle
dipendenze di un santo monaco, in seguito in completa solitudine. Il
demonio cominciò subito a tentarlo in diversi modi, ma Antonio gli
resistette sottoponendosi a penitenze sempre più rigorose. Dopo poco si
trasferì in un antica tomba scavata nel fianco di una montagna, la cui
ubicazione era nota solo ad un amico fedele. Anche qui subì da parte
del demonio terribili sevizie e così crudeli da restare tutto contuso.
Nel 285, quando ormai aveva trentacinque anni, interruppe
qualunque relazione umana ritirandosi ad est, verso il mar Rosso, fra le
montagne di Pispir. Si stabilì presso una fonte dove era un vecchio
castello abbandonato, nido prediletto dai serpenti. In questo luogo era
vietato l’accesso a chiunque, persino all’amico fedele che gli
gettava i viveri al di sopra delle mura di cinta. Qui, alcuni anni dopo, diffusasi la fama delle sue virtù, molti solitari si posero sotto la sua direzione dando origine a due monasteri: uno ad oriente del Nilo presso le montagne del Pispir, l’altro sulla riva sinistra del fiume. Qui verso il 307 ebbe la visita del monaco S. Ilarione. Al tempo della persecuzione di Massimino (311) lasciò la solitudine per recarsi ad Alessandria a servire e a incoraggiare i confessori della fede. Costretto dall’indiscrezione del popolo, che il suo soggiorno alessandrino aveva maggiormente incuriosito, e anche dal desiderio di trovare una più completa solitudine, stabilì di addentrarsi nel deserto della Tebaide orientale (alto Egitto). Si unì ad una carovana di mercanti arabi e per tre giorni e tre notti camminò verso il Mar Rosso. Si fermò presso una montagna distante trenta miglia dal Nilo (Coltzum), dove trascorse gli ultimi suoi anni e da qui si recò a visitare il primo eremita S. Paolo. I monaci del Pispir non tardarono a ritrovarne le tracce e si organizzarono per recargli una esigua scorta di viveri che il santo, a suo tempo, integrò con i frutti del suo orto che spesso le fiere o i demoni in aspetto di fiere devastavano, fino a quando il pio eremita ingiunse loro di allontanarsi in nome di Dio. Alcuni mesi prima della morte tornò nuovamente ad Alessandria per combattere gli Ariani. Una quindicina di anni prima, aveva concesso a due suoi discepoli, Macario ed Amathas, di raggiungerlo e di far vita comune con lui. Poco prima della morte predisse loro la sua fine imminente con la proibizione di manifestare ad alcuno il luogo della sua sepoltura e ciò per sottrarre la sua salma agli onori. Morì il 17 gennaio 356 e in tale giorno e ricordato nei martirologi e nei sinassari. Fu amico di S. Atanasio, che difese ed aiutò nella lotta contro gli ariani, per il quale si reco due volte, più che centenario, ad Alessandria a perorarne la causa, e dall’imperatore Costantino, al quale scrisse numerose lettere per il richiamo di Atanasio ad Alessandria. Fu in relazione inoltre con S. Ilarione, con S. Paolo eremita, con Didimo il Cieco. La sua vita è un tessuto di prodigi, di lotte col demonio, che lo resero uno dei santi più venerati del mondo cristiano. Antonio è l’iniziatore della vita anacoretica, cioè della vita di solitari dimoranti nel medesimo luogo ma non legati da regole. Mentre gli asceti più sperimentati si ritiravano a far vita assolutamente appartata (eremiti), i più giovani vivevano in gruppi sotto la direzione di un anziano, occupando ognuno una propria cella, separata ma vicina alle altre. Delle opere di S. Antonio è rimasta una sola lettera autentica indirizzata all’abate Teodoro e ai suoi monaci. Le sette lettere ricordate da S. Gerolamo sembrano perdute, poiché le sette pervenute in latino probabilmente non si possono identificare con queste. Sono da rifiutarsi come apocrifi tutti gli altri scritti, assai numerosi, editi sotto il suo nome, come lettere, sermoni, regole e alcuni trattati. Le istruzioni che Antonio dava ai monaci, tranne quelle conservate da S. Atanasio, sono perdute. Il culto di S.
Antonio cominciò, per certi aspetti, durante la sua vita Antonio. S.
Girolamo (Vita Hilarionis) attesta, infatti, le preoccupazioni
del santo perché un certo Pergamo, ricco signore dell’Egitto, si
riprometteva di trasportarne il corpo nella sua proprietà per erigergli
una chiesa. Il culto di s. Antonio
S. Girolamo attesta le
preoccupazioni del santo perché un certo Pergamo, ricco signore
dell’Egitto, si riprometteva di trasportarne il corpo nella sua
proprietà per erigergli una chiesa. S Atanasio conservò con grande
venerazione la tunica e il mantello che egli stesso molti anni prima gli
aveva regalato. |