Inclito Padre dei Monaci,
distribuì i suoi beni ai poveri
e si ritirò in solitudine;
iniziò una vita da penitente;
ebbe molti discepoli, si affannò per la Chiesa,
sostenne i Martiri nella
persecuzione di Diocleziano,
aiutò S. Atanasio contro 
gli Ariani

La Vita di S. Antonio Abate
Patriarca dei Cenobiti
( 250 - 356 )

È chiamato Abate, anche se di per sé non fu abate di nessuna abbazia. 
 Secondo il monaco e scrittore Thomas Merton, nell’ambito dei Padri del deserto, abate era qualunque monaco che avesse combattuto per anni nel deserto 
e si fosse mostrato così servo di Dio. 
Il Nostro aveva pienamente dimostrato ambedue le cose. 
Quindi chiamiamolo pure abate, lo merita.


MARTIROLOGIO
Memoria di sant'Antonio Abate nella Tebaide, il quale, rimasto orfano e avendo preso alla lettera
i precetti evangelici, diede ai poveri tutte le sue proprietà e si ritirò nella Tebaide, in Egitto, dove diede inizio alla vita monastica; contribuì al radicamento della Chiesa, appoggiò i confessori della fede durante le persecuzioni dell’ imperatore Diocleziano e difese con fermezza sant’ Atanasio contro gli ariani. Ebbe molti discepoli, tanto da essere chiamato “Padre dei monaci”.
Il suo sacro corpo però, sotto l'Imperatore Giustiniano, fu ritrovato per divina rivelazione, portato ad Alessandria e sepolto nella chiesa di san Giovanni Battista.

 Detto anche il Grande, è il patriarca del monachesimo, famoso uomo di preghiera, celebrato lottatore contro i demoni, guaritore di infermi e direttore di anime. Nacque intorno al 250 a Coma (l’odierna Qemans), località posta sulla riva occidentale del Nilo presso Eracleopoli, nel medio Egitto, da una famiglia cristiana di floride condizioni economiche. Alla morte dei genitori, avvenuta intorno al 270, Antonio, ancora giovane, vendette le sostanze paterne, collocò la sorella presso pie donne, assicurandole i mezzi necessari al sostentamento, e distribuì infine ai poveri tutto quanto gli restava. Si ritirò in un luogo vicino al suo villaggio per condurre vita eremitica, tutta dedita al lavoro, alla preghiera e alla lettura delle Sacre Scritture, dapprima alle dipendenze di un santo monaco, in seguito in completa solitudine. Il demonio cominciò subito a tentarlo in diversi modi, ma Antonio gli resistette sottoponendosi a penitenze sempre più rigorose. Dopo poco si trasferì in un antica tomba scavata nel fianco di una montagna, la cui ubicazione era nota solo ad un amico fedele. Anche qui subì da parte del demonio terribili sevizie e così crudeli da restare tutto contuso. Nel 285, quando ormai aveva trentacinque anni, interruppe qualunque relazione umana ritirandosi ad est, verso il mar Rosso, fra le montagne di Pispir. Si stabilì presso una fonte dove era un vecchio castello abbandonato, nido prediletto dai serpenti. In questo luogo era vietato l’accesso a chiunque, persino all’amico fedele che gli gettava i viveri al di sopra delle mura di cinta. 
Qui, alcuni anni dopo, diffusasi la fama delle sue virtù, molti solitari si posero sotto la sua direzione dando origine a due monasteri: uno ad oriente del Nilo presso le montagne del Pispir, l’altro sulla riva sinistra del fiume. Qui verso il 307 ebbe la visita del monaco S. Ilarione. Al tempo della persecuzione di Massimino (311) lasciò la solitudine per recarsi ad Alessandria a servire e a incoraggiare i confessori della fede. Costretto dall’indiscrezione del popolo, che il suo soggiorno alessandrino aveva maggiormente incuriosito, e anche dal desiderio di trovare una più completa solitudine, stabilì di addentrarsi nel deserto della Tebaide orientale (alto Egitto). Si unì ad una carovana di mercanti arabi e per tre giorni e tre notti camminò verso il Mar Rosso. Si fermò presso una montagna distante trenta miglia dal Nilo (Coltzum), dove trascorse gli ultimi suoi anni e da qui si recò a visitare il primo eremita S. Paolo.

I monaci del Pispir non tardarono a ritrovarne le tracce e si organizzarono per recargli una esigua scorta di viveri che il santo, a suo tempo, integrò con i frutti del suo orto che spesso le fiere o i demoni in aspetto di fiere devastavano, fino a quando il pio eremita ingiunse loro di allontanarsi in nome di Dio. Alcuni mesi prima della morte tornò nuovamente ad Alessandria per combattere gli Ariani.

Una quindicina di anni prima, aveva concesso a due suoi discepoli, Macario ed Amathas, di raggiungerlo e di far vita comune con lui. Poco prima della morte predisse loro la sua fine imminente con la proibizione di manifestare ad alcuno il luogo della sua sepoltura e ciò per sottrarre la sua salma agli onori. Morì il 17 gennaio 356 e in tale giorno e ricordato nei martirologi e nei sinassari.

Fu amico di S. Atanasio, che difese ed aiutò nella lotta contro gli ariani, per il quale si reco due volte, più che centenario, ad Alessandria a perorarne la causa, e dall’imperatore Costantino, al quale scrisse numerose lettere per il richiamo di Atanasio ad Alessandria. Fu in relazione inoltre con S. Ilarione, con S. Paolo eremita, con Didimo il Cieco. La sua vita è un tessuto di prodigi, di lotte col demonio, che lo resero uno dei santi più venerati del mondo cristiano. Antonio è l’iniziatore della vita anacoretica, cioè della vita di solitari dimoranti nel medesimo luogo ma non legati da regole. Mentre gli asceti più sperimentati si ritiravano a far vita assolutamente appartata (eremiti), i più giovani vivevano in gruppi sotto la direzione di un anziano, occupando ognuno una propria cella, separata ma vicina alle altre.

Delle opere di S. Antonio è rimasta una sola lettera autentica indirizzata all’abate Teodoro e ai suoi monaci. Le sette lettere ricordate da S. Gerolamo sembrano perdute, poiché le sette pervenute in latino probabilmente non si possono identificare con queste. Sono da rifiutarsi come apocrifi tutti gli altri scritti, assai numerosi, editi sotto il suo nome, come lettere, sermoni, regole e alcuni trattati. Le istruzioni che Antonio dava ai monaci, tranne quelle conservate da S. Atanasio, sono perdute.

Il culto di S. Antonio cominciò, per certi aspetti, durante la sua vita Antonio. S. Girolamo (Vita Hilarionis) attesta, infatti, le preoccupazioni del santo perché un certo Pergamo, ricco signore dell’Egitto, si riprometteva di trasportarne il corpo nella sua proprietà per erigergli una chiesa.
S. Atanasio, che riferisce la proibizione di Antonio ai due discepoli di manifestare ad alcuno il luogo della sepoltura, conservò con grande venerazione la tunica e il mantello che egli stesso molti anni prima gli aveva regalato. Ma il culto di Antonio varcò ben presto i confini dell’Egitto e si diffuse nell’Oriente e nell’Occidente.

  (Tratto da Biblioteca Sanctorum, Istituto Giovanni XXIII della Pontificia Università Lateranense, Roma, 1962, vol. II, pp.106-114)

 
Dalla «Vita di sant'Antonio» scritta da sant'Atanasio vescovo


Dopo la morte dei genitori, lasciato solo con la sorella ancor molto piccola, Antonio, all'età di diciotto o vent'anni, si prese cura della casa e della sorella. Non erano ancora trascorsi sei mesi dalla morte dei genitori, quando un giorno, mentre si recava, com'era sua abitudine, alla celebrazione eucaristica, andava riflettendo sulla ragione che aveva indotto gli apostoli a seguire il Salvatore, dopo aver abbandonato ogni cosa. Richiamava alla mente quegli uomini, di cui si parla negli Atti degli Apostoli che, venduti i loro beni, ne portarono il ricavato ai piedi degli apostoli, perché venissero distribuiti ai poveri. Pensava inoltre quali e quanti erano i beni che essi speravano di conseguire in cielo.
Meditando su queste cose entrò in chiesa, proprio mentre si leggeva il vangelo e sentì che il Signore aveva detto a quel ricco: «Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi e avrai un tesoro nei cieli» (Mt 19, 21). Allora Antonio, come se il racconto della vita dei santi gli fosse stato presentato dalla Provvidenza e quelle parole fossero state lette proprio per lui, uscì subito dalla chiesa, diede in dono agli abitanti del paese le proprietà che aveva ereditato dalla sua famiglia possedeva infatti trecento campi molto fertili e ameni perché non fossero motivo di affanno per sé e per la sorella. Vendette anche tutti i beni mobili e distribuì ai poveri la forte somma di denaro ricavata, riservandone solo una piccola parte per la sorella. Partecipando un'altra volta all'assemblea liturgica, sentì le parole che il Signore dice nel vangelo: «Non vi angustiate per il domani» (Mt 6, 34). Non potendo resistere più a lungo, uscì di nuovo e donò anche ciò che gli era ancora rimasto. Affidò la sorella alle vergini consacrate a Dio e poi egli stesso si dedicò nei pressi della sua casa alla vita ascetica, e cominciò a condurre con fortezza una vita aspra, senza nulla concedere a se stesso.
Egli lavorava con le proprie mani: infatti aveva sentito proclamare: «Chi non vuol lavorare, neppure mangi» (2 Ts 3, 10). Con una parte del denaro guadagnato comperava il pane per sé, mentre il resto lo donava ai poveri. Trascorreva molto tempo in preghiera, poiché aveva imparato che bisognava ritirarsi e pregare continuamente (cfr. 1 Ts 5, 17). Era così attento alla lettura, che non gli sfuggiva nulla di quanto era scritto, ma conservava nell'animo ogni cosa al punto che la memoria finì per sostituire i libri. Tutti gli abitanti del paese e gli uomini giusti, della cui bontà si valeva, scorgendo un tale uomo lo chiamavano amico di Dio e alcuni lo amavano come un figlio, altri come un fratello. 

Il culto di s. Antonio

     S. Girolamo attesta le preoccupazioni del santo perché un certo Pergamo, ricco signore dell’Egitto, si riprometteva di trasportarne il corpo nella sua proprietà per erigergli una chiesa. S Atanasio conservò con grande venerazione la tunica e il mantello che egli stesso molti anni prima gli aveva regalato.
Il culto di Antonio varcò ben presto i confini dell’Egitto e si diffuse nell’Oriente e nell’Occidente. 
S. Eutimio, abate in Palestina, ne fece celebrare la festa il 17 gennaio e fu presto imitato da Costantinopoli.
In Occidente la festa appare segnata al 17 genn. nel Martirologio Geronimiano e in quello storico di Beda.
Fu venerato in modo particolare dal popolo, il quale faceva ricorso a lui contro la peste, i morbi contagiosi e contro il cosiddetto « fuoco di S. Antonio ». 
     Il luogo della sepoltura di Antonio era ancora sconosciuto quando Atanasio ne scriveva la Vita. 
Verso il 561 sotto l’imperatore Giustiniano fu scoperto il suo sepolcro per mezzo di una rivelazione.
Le reliquie, trasportate ad Alessandria e deposte nella chiesa di S. Giovanni Battista, verso il 635, in occasione dell’invasione araba dell’Egitto, furono rilevate e portate a Costantinopoli. Di qui, nel sec. XI, passarono alla Motte-Saint-Didier in Francia, recate da un crociato al suo ritorno dalla Terra Santa.
La Chiesa costruita per accoglierle fu consacrata dal Papa Callisto II nel 1119. In seguito (1491), furono traslate a Saint Julien presso Arles.