La Chiesa Parrocchiale                                                                                         

       Rimane nella sua struttura architettonica uno dei pochi monumenti dell’arte medioevale siciliana , seppure  non più autenticamente tale; nel corso dei secoli ha subito numerose e frequenti trasformazioni.

Pianta di Palermo antico da una incisione del 1674 ( la Torre di Baych sorgeva all'estremità della penisola )




 

Il Luogo e il Campanile

E’, per la testimonianza di tutti gli scrittori che ne conservarono la tradizione, sul luogo  dove si innalzava la Torre di Baych, che sorgeva sopra la Porta di Patitelli, sulla Piazza dei Saraceni. Nella sua Descrizione di Palermo antico Salvadore Morso ricorda questa torre, ai piedi della quale si infrangeva il mare e con la sua vasta mole divideva due porti, sorgendo su un’ istmo di terra, vicina all’altra Torre di Pharat.
Nel mezzo della torre era un arco con la Porta del Mare ( Bab el Bahr ) o dei Patitelli. 
L’Inveges in Palermo antico (f.80) parla dell’antichissima torre Baych e della Porta di Patitelli o Pantanelli e che il volgo corrompe; “ sotto i suoi archi dal secolo dodicesimo al sedicesimo erano botteghe di artigiani di patiti o zoccoli”.
Pietro Ranzano riporta che in cima era un’iscrizione in caratteri arabi, ma creduti caldei e tradotti falsamente per dare a Palermo origini antichissime, confutata dal Cluverio, Asseman e Tychsen, che fissano l’anno della fabbrica nel 942:

 ( interpretazione falsa): “ Vivente Isaac filio Abrahae et regnante in Idumea atque in valle Damascena  Esau filio Isaac, ingens Chaldaeorum manus quibus adjunctisunt multi Damasceni atque Phoenices ad hanc triangularem insulam sedes perpetuas locaverunt in hoc amoeno loco quem Panhormum cognominaverunt” .

( interpretazione corretta) : “ Non est Deus nisi Deus, non est potentia neque fortitudo nisi in Deo forti omnipotente, non est Deus nisi ipse vivens aeternus,anno trigesimo primo, anno 53 ( di G.C.942 )“.
In realtà si trattava di versetti del Corano dalla Sura 38^.

Pietro Ranzano riporta che in cima era un’iscrizione in caratteri arabi, ma creduti caldei e tradotti falsamente per dare a Palermo origini antichissime, confutata dal Cluverio, Asseman e Tychsen, che fissano l’anno della fabbrica nel 942:
 ( interpretazione falsa): “ Vivente Isaac filio Abrahae et regnante in Idumea atque in valle Damascena  Esau filio Isaac, ingens Chaldaeorum manus quibus adjunctisunt multi Damasceni atque Phoenices ad hanc triangularem insulam sedes perpetuas locaverunt in hoc amoeno loco quem Panhormum cognominaverunt” .
( interpretazione corretta) : “ Non est Deus nisi Deus, non est potentia neque fortitudo nisi in Deo forti omnipotente, non est Deus nisi ipse vivens aeternus,anno trigesimo primo, anno 53 ( di G.C.942 )“.
In realtà si trattava di versetti del Corano dalla Sura 38^.
Salvadore Morso traduce Baych con Bayt, cioè: “casa fortificata” e Pherat “segno ad indicare la via”. Lo stesso Autore identifica la torre di Pherat o Bebel Bacharsul muro ove è sorto il Monastero di S. Caterina, poiché la Chiesa dei Benfratelli ( Torre Busuemi ) era troppo distante ( Ranzano).
 L’iscrizione, nata con la torre,fu opera dei Saraceni ; pare che ne avesse un’altra in simiglianti caratteri, in tutto l’ambito delle fondamenta, riempite di bitume rosso.  
Una cronica manoscritta del Can.La Rosa che finisce nell’anno 1631 riporta che: 
“ Nel tempo del Vicerè don Garsia de Toledo e di suo ordine si ampliò il Cassaro che prima era stretto ed infino a 
S. Antonio; ma c’era una torre con un arco grande e si passava sotto e si andava alla strada che è oggi Bocceria; sopra la detta torre vi erano in una pietra grande scolpite l’armi del re Ruggieri a man dritta e a man manca l’arme di Casa Spatafora”.
L’Inveges scrive nel Palermo antico che l’antichissima Torre di Baych fu buttata a terra nel 1564 ai tempi di Don Garsia de Toledo, Vicerè, per fare il Cassaro.
Nel 1560 a detta del Fazello la Torre Farat fu rovinata e se ne son fatte botteghe, invece la Torre Baych è ancora “ intera ”. Tanto il Morso che il Fazello parlano della Torre di Baych, lo Zamparrone, il Mangananti, il Mongitore, della Torre di Farat; Alessandro Giuliana Alaimo, studioso contemporaneo, sulla base di un documento del 1518 dell’Archivio Parrocchiale, nel quale si legge che: ” era una di li turri antiqui di guardia di
questa felice Città, fatta pio di anni mille et cincocento” ed in un altro del 1581 che si distanzia di tredici anni dalla demolizione della torre di Baych, ritiene trattarsi proprio della Torre di “Pharat”: la parte basale del campanile, fatta di conci grossi, sarebbe la base dell’antica torre.  
Per quanto riguarda la Piazza e mercato dei Saraceni, Salvadore Morso la identifica tra S. Matteo e S. Antonio, intendendo la Chiesa di S. Matteo che sorgeva dalla parte opposta dell’odierna e che fu inclusa nelle fabbriche del Monastero di S. Caterina. Dov’è oggi la Piazza Vicerè Caracciolo, sovrastata dalla Chiesa, era il Mercato Vecchio o Bucceria, ossia Beccaria, dalla voce francese Boucherie che significa
Macello, una volta Mercato dei Saraceni, come in Fazello (dec.1 lib.8,fol.181). 
Una cronica manoscritta parla del Campanaro cominciato nel 1440 in Emanuele e Gaetani , ma non è stata individuata.
 
L’Inveges, nella sua “Cartagine Siciliana” al  f.173 nota che Giovanni il Vecchio di Chiaramonte di Marchisia, secondogenito con Manfredo Chiaramonte conte suo Fratello, contribuì al Campanile di S. Antonio (1302-1313 secondo l’Inveges ed il Mongitore) dove sono le sue armi della detta Famiglia Chiaramonte e si vedono al presente. Filippo Paruta scrive in un suo manoscritto (non reperibile) che fu restorato nel 1441.    Nel 1450 il Senato, come già detto in precedenza, fa una spesa per questo Campanile. Il Gaspare Palermo (op. cit.) menziona nel prospetto occidentale le armi del Senato palermitano e dei Chiaramonte; in quello orientale l'Arma d'Aragona.
                                                                                                       
Il Giuliana Alaimo asserisce che i Chiaramonte non contribuirono alla fabbrica del Campanile. 
Fu rifatto nel 1575 come da lettera al Vicerè nell’Archivio Parrocchiale.
Fu abbassato nel 1595 e fu eliminata la forma finale a cuspide con l’Aquila e la palla bronzea., che fu donata al Monastero di S. Martino delle Scale.

Per cui la base sarebbe della Torre di Farat con conci grossi; il primo ed il secondo ordine con conci piccoli tipici delle costruzioni trecentesche, il terzo ordine costruito nel 1575. Dotato della “Porta del Tocco” (è quella alla base) e della “stantia delli sacristani” ( Libro di Computisteria dal 1580 al 1597 ), è stato restaurato nel 1998, quando ne è stata rimossa la copertura, le campane, l’orologio da torre e creata una scala in ferro che dalla base porta alla cella campanaria.

     Il TEMPIO    CHIARAMONTANO
















 

   L' impianto della Chiesa è a croce greca, divisa idealmente in tre parti da quattro colonne monolitiche, poggianti su un alto stilobate e dotate di capitelli corinzi, simili a quelli presenti nella Chiesa di S. Maria dell'Ammiraglio ( Martorana ). Possiamo supporre che la facciata fosse di pietre squadrate come le costruzioni coeve di Palazzo Sclafani e Chiaramonte con la Cappella di Sant’Antonio, le Chiese di San Francesco d’Assisi e S. Agostino. Nei primi anni del 1300 fu riedificata in stile gotico per volontà e munificenza della Famiglia Chiaramonte ( Cfr. G. Bellafiore, Palermo guida della Città, op.cit.) . In quest’epoca possiamo certamente definire l’unicità dell’altare come in San Cataldo, di forma quadrata, al centro di una piccola abside dotata di finestra (  S. Spirito,  S. Cataldo, S. Giovanni degli Eremiti, vedi anche S. Maria dello Spasimo). 
Rifacendomi ad uno studio di A. Jolanda Lima sull’architettura del ‘400
( “S. Crescenza nel territorio di San Vito Lo Capo “, 19    ),possiamo affermare  che la Chiesa di S. Antonio Abate si rifà ad una forma antichissima che permea l’architettura islamica e che si perpetua nella Cubula di Palermo: il modello centrico-cupolato, cioè cupola su tamburo ottagonale con nicchie o trombe angolari ricavate nel tamburo.La soluzione che raccorda all’interno il volume cubico alla cupola ottagonale, la nicchia, è la riproduzione di un modello largamente diffuso in moltissime moschee della Tunisia medioevale; a Palermo esempi simili si hanno a San Cataldo, S. Giovanni  dei Lebbrosi, S. Giovanni  degli Eremiti, Cappella Palatina, S. Maria dell’Ammiraglio, SS. Trinità alla Zisa. Ha la sua lontana matrice in chiese bizantine e moschee arabe. La soluzione che raccorda all’interno il volume cubico alla cupola ottagonale, la nicchia, è la riproduzione di un modello largamente diffuso in moltissime moschee della Tunisia medioevale; a Palermo esempi simili si hanno a San Cataldo, S. Giovanni  dei Lebbrosi, S. Giovanni  degli Eremiti, Cappella Palatina, S. Maria dell’Ammiraglio, SS. Trinità alla Zisa. 
Ha la sua lontana matrice in chiese bizantine e moschee arabe. Per analogia con quella della Cubula e delle altre chiese su menzionate, è stata sempre colorata in rosso, anche se il Prof. Rosario La Duca, docente di tecnica urbanistica all’Università di Palermo sostiene che “ la calce, la sabbia ed il cocciopesto, stesi per impermeabilizzare la cupola, hanno un colore roseo che con il tempo diventa grigio: le rosse cupole dei monumenti normanni di Palermo sono solo un mito! “ ( Cfr. Kalòs 3-4 -1992 ). 
La cupola semisferica inscritta in un ottagono  sul quale si aprono quattro finestre, raccordato con il quadrato sottostante da nicchie angolari, fu voltata nel 1536 ( Cfr. Gaspare Palermo, op. cit. ), ma sicuramente ne avrà sostituita una preesistente (Cfr. Sicilia guida del T.C.I. op.cit.). Le volte costolonate sono sostenute da archi ogivali poggianti sulle quattro colonne centrali e su peducci.La moltiplicazione degli altari si ha verso il 1500, per la molteplicità dei Benefici ecclesiastici e l’intensificazione del culto dei Santi dopo il Concilio di Trento ( 1535-1583 ): è proprio del 1507 la fondazione di un beneficio semplice all’altare di San Giacomo. Strutture di culto nuove vengono applicate a fabbriche medioevali (come a S. Croce a Firenze ad opera del Vasari);secondo lo Zamparrone nel 1539 la Parrocchia fu ampliata dal Senato Palermitano.
                                           

Nei primi anni del 1300 fu riedificata in stile gotico per volontà e munificenza della Famiglia Chiaramonte ( Cfr. G.Bellafiore, Palermo guida della Città, op.cit.) .
In quest’epoca possiamo certamente definire l’unicità dell’altare come in San Cataldo, di forma quadrata, al centro di una piccola abside dotata di finestra
( S. Spirito,  S. Cataldo,
S. Giovanni degli Eremiti, vedi anche S. Maria dello Spasimo). 
La moltiplicazione degli altari si ha verso il 1500, per la molteplicità dei Benefici ecclesiastici e l’intensificazione del culto dei Santi dopo il Concilio di Trento (1535-1583): è proprio del 1507 la fondazione di un beneficio semplice all’altare di San Giacomo. 
Strutture di culto nuove vengono applicate a fabbriche medioevali (come a S. Croce a Firenze ad opera del Vasari); secondo lo Zamparrone nel 1539 la Parrocchia fu ampliata dal Senato Palermitano.
Fino al 1584 la Chiesa ha la pianta a croce greca, poiché ancora non esiste il presbiterio. 
E’ del 1551 l’Atto presso il Notaro Pietro Ricca tra i Canonici D. Antonino Riggio , D. Antonino Speciale ed il Marammiere D. Gaspare Imperatore con D. Antonello Gagini per la Cona marmorea davanti all’altare maggiore per la custodia del SS. Sacramento di palmi 28, con la testa di Dio Padre, la Cena a bassorilievo, S. Pietro e la sua storia, Cristo, Pietro e Andrea;
S. Paolo e Dio Padre, porticina argentea con sei angeli, archetto con rosoni; ai lati della Cona quattro Misteri della Passione di Cristo, il fregio con quattro serafini ed una colomba e sopra la cornice la Risurrezione di Cristo con un angelo in ginocchio. A destra della scultura S. Pietro, a sinistra S. Paolo e sopra la cornice S. Antonio di marmo.

Un Padre Eterno tiene il mondo in mano e con la destra fa la benedizione. Costò once 235, tarì 25 e grana 12.
Nel 1580 si ha una contrattazione con i proprietari delle botteghe e della casa ubicate in Piazza della Foglia ( Piazza Caracciolo) per costruire l’abside. Mastro Giuseppe Gagini lavora l’altare in muratura ed ai suoi eredi sono pagate 6 once per tre pilastri di pietra di Termini ( ed 1 oncia per quattro altaretti di marmo bianco); Antonio Cracchiola costruisce lo sportello del ciborio in argento per dodici once. Nel 1584 Nibilio Gagini lavora la custodia d’argento per l’altare ed iniziano i lavori di costruzione del presbiterio fino alla primavera dell’anno seguente. Nel 1588 viene realizzato un arco marmoreo nella Tribuna, con due personaggi  (?) e la stessa viene rivestita di stucco da Mastro Pietro Russo. Viene smembrata la Cona gaginesca  collocando le statue di San Pietro e Paolo ai fianchi del Cappellone di stucco ( Cfr. Mongitore, op. cit.) e i tondi dell’Annunziata, dell’Angelo ed  il Padre Eterno nella strada d’accesso alla Parrocchia. Nibilio Gagini rifà la custodia in argento, rame, ferro, legno. Nel 1590 viene dorata la Tribuna. I lavori dell’abside proseguono fino al 1596
In quest’anno Don Bartolo Failla fodera il Tabernacolo e il Crocifisso dalla porta del pulpito viene collocato all’altare maggiore., posto su due gradini in pietra di Billiemi e predella in pietra rossa di Castellammare, circondato da una balaustra in pietra di Termini (bianca) . L’abside ha due volte a crociera (vedi quelle delle navate laterali di San Francesco d’Assisi ). L’altare maggiore è
situato all’inizio del Cappellone e nei suoi fianchi ha le statue di (?  S. Pietro e Paolo, n. d. A.) e fasce di pietra rossa. Il resto del cappellone forma il Coro dietro l’altare con sedili bassi, due porticine d’accesso e 4 finestre aperte nel 1624. Nel 1709 Pietro Marino rifà il Tabernacolo in legno intagliato (con colonnine all’interno) e cristalli. La porticina è rivestita all’interno da lamina d’argento con l’Agnello dell’Apocalisse in altorilievo.
Nel 1718 l’Architetto del Senato Andrea Palma disegna la nuova balaustra,eseguita dallo scultore Gioacchino Vitagliano. Vengono adoperati marmi siciliani come il Rosso Libeccio (colonnine monolitiche), paragone, bardiglio, Giallo di Castronovo , verde. Il contratto prevede il rifacimento degli scalini dell’altare maggiore (e degli altari laterali con le predelle), con un palmo e mezzo di pedata e la lucidatura.
Nel 1739 lo scultore Pietro Marino realizza il nuovo Coro, disegnato dall’architetto Giuseppe Fama; fu pronto la settimana precedente la Settimana Santa. Nello stesso anno viene rifatto da Mastro Bartolo Tuttisanti l’arco maggiore di grosse pietre quadrate, con due vele, poiché l’arco vecchio era pericolante.
Il cappellone viene rivestito con canne, calce e gesso. Nei quattro angoli vengono posti otto pilastri con capitelli uguali a quelli della navata. Sopra i capitelli architravi circolari, posti anche sopra i lunettoni; sopra gli architravi quattro pilastri con capitelli d’ordine composito, conchiglie  e legacci. Sopra la base dei pilastri i 4 Evangelisti a rilievo con il cartoccio sotto e l’iscrizione; sopra i pilastri uno stipite rotondo nel mezzo con il mondo, angeli ed una raggiera grande con un ostensorio o calice nel mezzo. Ai lati due quadroni con qualche puttino sopra, festoni e cartoccio. In mezzo alle finestre mondi con puttini, angeli, raggi e colombe. Alla base dell’arco una ghirlanda e festoni sopra l’arco. Nella chiave dell’arco è una tabella con due puttini (vedi esemplari di “cartocci ” o cartigli simili in San Giovanni dei Napoletani, Gesù, S. Maria la Nuova, S. Agostino, San Giorgio la Kemonia, S. Ninfa, S. Orsola, Oratori del SS. Rosario,  S. Lorenzo, S. Cita, S. Caterina d’Alessandria, Carminello, delle Dame, SS. Pietro e Paolo ).  Le figure sono rinforzate con fil di ferro. Le opere di stucco sono di Francesco Alaimo. Due festoni sono uno dentro ed uno sopra l’arco maggiore. La testa in stucco (serafino) sopra la ghirlanda dell’arco maggiore è stata realizzata successivamente. (vedi simili decorazioni nella Chiesa Cattedrale di Palermo). Nel 1757, per la riforma del cappellone ad opera dei Maestri Nunzio e Paolo Montalto sono rimossi tutti i sedili  nel fondo del Coro, tolti i sedili bassi  e creato l’ingresso agli stalli laterali nella parte centrale in linea retta con il sedile del Parroco (un punto superiore a quello del Celebrante, posto di fronte, senza colonne da porre nell’arco). Agli angoli del coro sono previsti genuflessori. L’altare e custodia vengono spiantati e posti nel fondo del cappellone. Il Maestro Francesco Corano rifà l’altare maggiore e la scalinata con cinque gradini sopra i due antichi e predella in pietra rossa di Castellammare. Dietro l’altare viene fatto un corridoietto con gradini per la custodia (apribile posteriormente) e l’alzata dell’altare per porvi i candelieri. Gaspare Serenario s’impegna a fare tre quadroni: uno per l’altare maggiore e due per il cappellone.
Nel 1789 Pietro Marabitti intaglia 6 candelieri e 4 vasi di legname ( portapalme, n. d. A. ).Antonino Pellegrino dora i suddetti, colora a pietra l’altare maggiore, inargenta 6 candelieri di 4 palmi ciascuno e 4 vasi; colora in avorio la fodera dell’altare, indora una cornice di paliotto ed inargenta il globo di nubi per l’esposizione del SS. mo. Nello stesso anno l’architetto Carlo Chenchi disegna il nuovo altare alla Romana e relativo paliotto.
Nel 1805 viene ricostruita l’abside dall’architetto Nicolò Puglia e rimodernata nelle opere di stucco dai Maestri Antonino Gianserrata , Salvadore Guarneri e Giuseppe Calattiata. I mastri indoratori Francesco Bevilacqua e Gaetano Di Bella dorano con oro zecchino ed in parte con mistura d’argento gli intagli di stucco e la Gloria ( Agnus Dei ). D. Vito Cuppolino, pittore, dipinge la cupoletta sopra l’altare maggiore e fa quattro figure rappresentanti le Virtù ed allunga la tela del quadrone dell’altare maggiore e riduce le due tele laterali. Nel 1815 altro restauro dell’architetto Nicolò Puglia: Salvadore Guarneri, stuccatore , stucca nuovamente le cappelle della chiesa, ridorate ed adornate di marmi. In seguito al terremoto del 5 marzo 1823 la chiesa è seriamente danneggiata e si rese inagibile; nel 1830 il Decurionato (Magistrato municipale) stanzia 500 onze per il restauro. I Parroci Salvatore Gandolfo (eletto nel 1820 ) e Francesco Paolo Vasquez (eletto nel 1837 ) la fecero risorgere con migliore splendore, arricchendola di non poche suppellettili ed adorni (Cfr. Gaspare Palermo, op.cit.).In precedenza lo era stata dai Parroci Vincenzo Dominici (nel 1614 quadri di S. Antonio e S. Carlo) e molto di più da Don Pietro Galletti ( 1703, Cfr. Mongitore, op.cit.).L’appalto del restauro è affidato all’architetto Nicolò Ranieri, che cercò di riprodurre l’originario stile medioevale.
Nel 1860 venne danneggiata dalle bombe in seguito agli attacchi borbonici ed il Parroco Andrea Maggio spese once 230,7.1 per i restauri: muratori, falegnami, stuccatori ( D. Ferdinando Lo Verso) riparano la Chiesa.
Altro restauro nel 1888 dell’architetto Salvatore Li Volsi. Vengono rimossi i due stalli di noce, demolita la “carta di gloria” (cartoccio) nell’arco maggiore, creati 4 piedistalli per le colonne in pietra dell’Aspra (di cm.0,28 di diametro x 2,45 di altezza); otto colonne per adornare il cappellone con i capitelli imitanti il disegno di alcuni capitelli del Chiostro di Monreale.Viene smentita la tesi del Giuliana Alaimo secondo il quale erano state costruite da Gian Paolo Falcone nel 1570. Viene costruito il contrarco gotico di mattoni, costruita una cornice attorno alle cappelle e piloni, 4 lunette a crociera nelle due cappelle accanto al cappellone, soglio negli angoli delle cappelle per le 4 colonne; rivestimento delle colonne e di quelle del cappellone a stucco lucido imitante il granito ed i capitelli imitanti il marmo bianco; ricollocazione di due medaglioni con l’Angelo, la SS. Annunziata ed il SS. Salvatore ( Padre Eterno), ricollocazione della custodia del SS. mo, cornice attorno al quadro di S. Antonio a stucco, ricollocazione di marmi, demolizione degli altari laterali e costruzione di due cappelle al centro delle due navate laterali in stile gotico. Tutt’ attorno alle pareti, come nel Duomo di Monreale e nella Cappella Palatina, viene realizzata una fascia marmorea, inframezzata da fregi ornamentali a finto mosaico e con il motivo del fiordaliso nella parte superiore.

Gli antichi altari 

La Cappella del Santissimo.

E’ del 1588, opera di Giacomo Gagini,  che costruisce l’altare e la balata.
Vi trova posto la Cona marmorea senza il coronamento del Padre Eterno, i tondi  dell’Annunziata, dell’Angelo e i Santi Pietro e Paolo.
Nel 1603 una balaustra in pietra di Billiemi è collocata davanti all’altare.
Nel 1739, oltre l’arco della Cappella, viene posta una tabella marmorea bianca di quattro palmi, con gli stipiti in marmo giallo di Castronovo e sopra la tabella un puttino che tiene il laccio e con l’altra mano la stola parrocchiale lavorata con pietre mischie lucidate, opera di Giovan Battista Marino e Carlo Ferreri.Nel 1757 Bartolomeo Sanseverino realizza la Cappella accanto al cappellone di stucco. Nel 1815 Salvatore Di Fede fodera il paliotto “a marmo granito”. Fino agli anni ’70 era davanti all’altare un inginocchiatoio ligneo, con funzione di balaustra e due candelabri lignei. E’ ancora in situ un’antica targa con la scritta “Altare privilegiatum perpetuum”  Sotto la Cona gaginesca è un ciborio del 1700 circa, con la porticina marmorea e l’interno d’argento. Il Parroco Renna  vi ha collocato due lampade d’argento del 1700 nel mese di novembre dell’anno 2002. 

L’Altare di S. Antonio Abate.

Nel 1605 si stipula un contratto con Giovanni di Ruggero e Stefano Fagliarino in Notar Isgrò per “ una custodia di S. Antonio in legname, di 14 palmi d’altezza (esclusa croce e palla), lunga 8 palmi, larga 5 palmi con colonne d’ordine corinzio, con un terzo decorato a grottesche. Al primo ordine due Santi, sette figure, due angeloni sopra l’arco con corone e palme in mano.Al 2° ordine un Cristo con una croce in mano ed un calice ai piedi. Sopra la palla una croce ed un Cristo Risorto con cupoletta intagliata. Nel piedistallo una porticina per il SS. Sacramento, sotto la quale è la custodia dell’Olio Santo e quattro sportelli “. Il legno utilizzato è il tiglio, il pioppo ed il castagno 
( Come esempio di altari lignei vedi quelli della Chiesa dei PP. Cappuccini a  Palermo ed in Sicilia). Nel 1624 vi è una finestra sopra l’altare.

Il Quadro del Titolare  









 
L’immagine di Sant’Antonio fu fatta dipingere dal Parroco Dominici nel 1626, pare da Pietro Novelli, detto il Monrealese, secondo il Giuliana Alaimo. Secondo altri studiosi, dal catalogo “ Vulgo dicto lu Zoppo di Gangi “, (op.cit.) del 1997, A. Cuccia scrive che: “ il dipinto è stato oggetto di un minuto dibattito circa la paternità, rivendicata sia a Giuseppe Salerno che a Gaspare Bazzano (che si firmavano entrambi Zoppo di Gangi) che a Pietro Novelli. Il riferimento a quest’ ultimo è dato dall’errata interpretazione di un documento ( Giuliana Alaimo, 1948) dove sono registrati i pagamenti al pittore monrealese per un dipinto raffigurante S. Antonio Abate, ma sovrastato dalla figura del Cristo e quindi non identificabile con quello in questione.
Il Mongitore (Memorie ms. sec. XVIII cc.147 e 213) annota la presenza nella stessa chiesa di due quadri del Santo titolare: uno di Giuseppe Salerno e l’altro di Pietro Novelli (1626).  A. Cuccia lo riconduce a Pietro d’Asaro, detto “ il Monocolo di Racalmuto”
( 1579-1647): “ Pare che Questi si sia ispirato al dipinto del Beato Guglielmo Buccheri della chiesa di S. Anna in Palermo: questo confronto suggerisce una datazione verso la fine del primo ventennio
del secolo XVII per l’affinità stilistica con la Sacra Famiglia di Racalmuto”. 

Nel 1645 si ha notizia della fondazione di un Beneficio, fondato da Don Giuseppe Gravina e Grimaldi di Castrogiovanni (Enna), con dote di tarì 2 annuali, col peso di una Messa nel giorno del Santo per atto  in Notar Vincenzo Benaldi del 13 agosto.Lo stesso Don Giuseppe Gravina fu istituito Beneficiale il 7 ottobre ed immesso in possesso il 23 dello stesso mese.La cappella, lo “stipo” e la cornice vengono restaurati nel 1787 e Gioacchino Martorana esegue degli affreschi ( figure ed adorni ) negli squarciati e muro accanto al quadro di S. Antonio Abate. Nel 1787 il marmoraro Mariano Sollima pulisce il marmo della Cappella e lo ristora nelle mancanze. Nel 1815 la cappella viene stuccata; Francesco Leone intaglia due altari e Salvatore Di Fede fodera 4 paliotti “a marmo granito”.
Nel 1888 il quadro di S. Antonio ha una cornice in stucco e la cappella due lunette a crociera. Negli anni ’70 il Parroco La Mantia rimuove il quadro della Madonna del Buon Consiglio (vedi Sacrestia ) ed il Sant’ Alfonso sotto la mensa e fa eseguire il “gradone” centrale nell’altare; vi colloca (ma soltanto nel mese di gennaio) un tabernacolo ligneo con porticina ovale. 

 

L’altare di San Giacomo.  
 Se ne ha notizia da un beneficio semplice donato da Antonio Rinaldo nel 1507 il cui jus patronato è degli eredi del fondatore. 
Ha di dote tarì 3,24 con l’obbligo di celebrare due Messe ogni settimana. Il Beneficiale era il Canonico Antonio Del Monaco, istituito il 30 agosto 1507 e sostituito l’8 febbraio 1532 da De Federico Valdanza e Giuseppe Mezzazetta, Canonico di S. Pietro nel Regio Palazzo.

L’altare di S. Elia.
Si ha notizia di un beneficio semplice di S.Elia di jus patronato della Mensa Arcivescovile, con dote di 12 tarì annuali (ms.f.341).Si suppone fosse legato ad un altare, ove il Beneficiale Domenico Errante nel 1630, al tempo del Parroco Bongiorno dovesse celebrare.

L’altare di S .Rosalia
 Nel 1626 Giovanni Giacomo Cerasolo riceve 4 onze “ per i lavori prestati nella Chiesa parrocchiale di S. Antonio il Cassaro di questa Città, nell’altare della medesima, per averci accomodato il quadro della gloriosa Santa Rosalia”, dipinto dal Novelli, per 24 onze, eseguito su balata di Genova (ardesia) nello stesso anno. Il quadro è andato perduto.

L’altare della Madonna della Grazia. 
E’ uno dei quattro altari lavorati da Giacomo Cerasolo in pietra macchiata nel 1622.
E’ il primo altare del lato sinistro. “La SS. Vergine, dipinta in un muro alli Cartara, nel mese d’aprile del 1665, avendo operato molti miracoli, fu trasferita in questa Chiesa. La Vergine era nella maniera che si dipinge la Madonna della Grazia. Con l’occasione dei miracoli della Vergine fu ornato quest’altare in cui fu collocata con vari marmi”. Di essa scrisse nel Palermo divoto di Maria Vergine (t.1, lib.2,cap.71 p.6, f.655) il Mongitore nel 1721. Davanti a quest’altare era sepolto ( c’è ancora? ) il Servo di Dio Don Onofrio Di Natale, sacerdote palermitano, morto in fama di santità il 12 luglio 1677. Il Mongitore riporta quest’epitaffio: “L’ardente zelo dell’anima e l’amabile innocenza dei costumi presiedono a questa sepoltura in cui riposano le ceneri del tanto degno sacerdote e teologo
Servo di Dio Onofrio Di Natale; da queste ancor trasparirebbe fuoco d’amor di Dio e beneficenza verso de’ prossimi se pure le lagrime sparse abbondantemente da’ poveri nel funerale di tanto suo amorevole Padre non n’ havessero rattemprato l’ardore della carità. Nell’anno 33 di sua esemplarissima vita entrò nell’eternità  a 12 di luglio 1677 lasciando a noi la sua spoglia mortale, quale qui separatamente abbiamo riposto”.
Nel 1624 vengono intagliati due pilastri della Cappella della Madonna (evidentemente lignea) da Mastro Salvatore Tarenna, intagliatore.Nel 1717 Pietro Marino intaglia l’altare e la “macchina” dell’altare della Vergine SS.ma per once 24 e Michele e Battista Piscitello indorano la cornice ed il piedistallo dell’altare della Madonna. Doveva contenere il quadro di Antonino Grano (oggi  non più esistente, ma la Madonna della Grazia su ardesia è collocata accanto alla porta di sinistra).Nel 1718 ha la sua balaustra e predella.

L’Altare del SS. Crocifisso.  
E’ il primo del fianco destro, la cui immagine fu  fatta realizzare dal Parroco Don Pietro Galletti (1703-1723), rimossa l’antica che v’era.                
E’ uno dei quattro altari del 1622. Nel 1718 l’altare ha una balaustra e predella. Nel luglio del 1739 viene fatta una ghirlanda  attorno all’arco della Cappella, con una testa di serafino per chiave. Nel 1790 Matteo Cinquemani scolpisce un nuovo Crocifisso con sua croce di palmi sei, per  once 24,10.  Nel 1815 vengono dorati con oro zecchino e mordente gli stucchi, che presentano una croce  una corona ed adornata di marmi; i “geroglifici ” nel fondo della cappella vengono dorati; Salvatore Di Fede fodera il paliotto “ a marmo granito”. Il Gaspare Palermo nel 1827 scrive che il muro della cappella è ornato di mezzi bassorilievi antichi di marmo.

L’Altare dell’Addolorata.

Prese il posto di quello della Madonna della Grazia nel 1751. Vi era esposto un quadro. Nel 1815 la cappella viene nuovamente adornata di stucco e dorata con oro zecchino e mordente. Viene ricordata nella descrizione della Chiesa di Gaspare Palermo del 1858 come altare della SS. Vergine dei Dolori.

L’Altare di San Carlo. 

E’ il secondo del lato destro. E’ uno dei quattro altari del 1622, posto dopo il Fonte Battesimale. 
L’immagine fu fatta fare dal Parroco Dominici (1614-1636), lodato dal Baronio nel De maiestate panormitana ( lib.1, cap.13, f.144 ) : “ Ad Baptismatis lavacrum D.Caroli Borromaei imago suscipitur qui lacrimarum imbre perfusum nudis pedibus infertoque in collo laqueo, vere dolentis animi, vel documenta, vel argumenta, Christum cruci affixum gerit, divinique numinis misericordiam implorat ut Mediolanum suum ab diuturna pestis obsidium liberet, servet”.
 
Il quadro raffigura S. Carlo in processione durante la peste di Milano. “ Essendo la peste nella Città di Milano il Santo Pastore volle fare una processione divotissima per placare la divina giustizia e vestito con rocchetto e cappa magna criolata con il cappuccio in capo et una fune al collo, scalzo, sotto il baldacchino porta nelle mani un santo Crocifisso. Il baldacchino era portato da’ cavalieri di quel paese e vestiti con collari all’antica ( gorgiere spagnole, n. d. A.). Un clerico dietro portava il cappello rosso come si vede in detta pittura” (dal Manganante, op.cit.). E’ opera di Giuseppe Salerno ( lo Zoppo di Gangi ). Nel 1624 vi è una finestra sopra l’altare. Il quadro di San Carlo venne posto all’altare maggiore presumibilmente nel 1888.

La Sacrestia.
Si ha notizia della sua costruzione nel 1585. Poiché la “stantia delli sacristani” è posta nella Torre campanaria (1580) è presumibile fosse nella costruzione bassa che sorgeva davanti al campanile, dotata di grata, visibile nelle fotografie del 1884 per l’apertura del 1° tronco di via Roma, cui forse si accedeva dalla finta porta (murata) accanto all’altare del Crocifisso, per l’uso antico di porre la sacrestia vicino all’ingresso. Venne restaurata nel 1595. Altra possibilità è data dalla Stanza del Tesoro, con volta a crociera. Nel 1739 si ha notizia della nuova sacrestia per la finestra posta su di essa nel Coro e la porta ricavata nel Coro stesso; nel 1749 si effettuano lavori nella volta con lunettoni in gesso; nel 1757 Vito D’Anna dipinse per essa il quadro ad olio dell’Addolorata e Gaetano Mercurio la Madonna della Grazia da affiggere nella sacrestia vecchia “per la congregazione dei ragazzi”. Nei Capitolati d’appalto per i vari restauri (1757) è chiamata “sacrestia nuova o retrosacrestia e custodia di li palii”( paliotti ). Nel 1787 viene sostituito lo “stipo” posto dietro la cappella di S. Antonio ( distrutto nell’anno 2000, sotto il quale sono state rinvenute delle piastrelle maiolicate del 1700  ) . Vi erano conservati due cassettoni o “casciarizzi” per i paramenti sacri.

L'Organo
La prima notizia dell’organo di questa Chiesa si ha dalle carte custodite nell’Archivio parrocchiale: nel 1580  sono date onze 1,18 al Maestro Raffaele La Valle, organaro (autore degli organi di San Martino delle Scale e di S. Maria degli Angeli  o la Gancia ), per avere acconciato e accordato l’organo della Cappella del SS. Sacramento. Valerio Rosso (1590) lo definisce: ”tanto sonoro quanto ne sia in tutta la Città”. 
Nel 1603 viene accordato da Antonio La Valle, figlio del grande Raffaele.
Nel 1860 D. Salvatore Bruilotta ,organaro, rifà l’organo. Si ha menzione del pulpito ( ligneo? ) nel 1596, quando Don Bartolo Failla tolse il Crocifisso dalla Porta del Pulpito e lo pose nell’altare dove era la Cona del SS. Sacramento (  forse è lo stesso Crocifisso che negli anni ’60 era nel Salone parrocchiale e che il Parroco La Mantia volle sull’Altare maggiore, sostituendone uno piccolo, settecentesco, in ebano). Fino agli anni ’60 in chiesa, accanto alla colonna posteriore sinistra era collocato un grande ambone ligneo, di semplice disegno, su quattro colonne e scala d’accesso a due rampe. Il Parroco Mons. Rosario Mario Renna ha collocato un nuovo ambone, secondo la Riforma liturgica del Concilio Vaticano II,  nell'anno 2002 ed un nuovo altare nell'anno 2007, inserendo sugli specchi i due altorilievi lignei dei sacerdoti dell'Antico Testamento.


La Confraternita di Santa Rosalia, detta " dei Sacchi "
La Confraternita di Santa Rosalia, detta " dei Sacchi ", sembra, secondo le fonti, fosse già esistente il 31/10/1626. 
Essa era formata da barbieri e scarpari e, stando ai dati documentari, fu "approvata con autorità e licenza dell'Em.mo Cardinale Doria" il 26 Agosto 1635, presso la Parrocchia di S. Antonio Abate. 
Nel 1659, i Ruoli furono allargati agli arbitranti (sensali ), e magazzinieri. Il 30/09/1816 la Confraternita di S. Rosalia dei Sacchi si volle aggregare a quella di S. Rosalia dal titolo dell'abitino. Nel 1912 tale aggregazione venne abbandonata ed il 23/12/1945 fu nuovamente ricostituita sotto il titolo di S. Rosalia dei Sacchi e del Pellegrino e iniziando il culto l'11/08/1946. Essa è stata riconosciuta il 24/05/1982. L'abito in origine era costituito da un sacco di tela cruda con mantello di lanetta e recava una croce bianca e nel mezzo un' immagine della Santa.

   LA CHIESA OGGI
Nel 1551 Antonello Gagini realizza la Cona marmorea posta dietro l'altare maggiore; Giuseppe Gagini l'altare in muratura e Antonio Cracchiola lo sportello del Ciborio in argento.  

Fino al 1584 la Chiesa ha la pianta a croce greca, poiché ancora non esiste il presbiterio.

Il Presbiterio

L'altare maggiore di  Chenchi

Fu costruito dal 1585 al 1596, collocando l'altare davanti al presbiterio su due gradini, con una balaustra in pietra bianca, ai lati della quale sono le statue dei santi Pietro e Paolo; alle spalle c'è il Coro con sedili bassi, due porticine d'accesso, quattro finestre e l'abside con due volte a crociera. 
Nel 1588 viene smembrata  la Cona gaginesca, portando nella strada d'accesso alla Parrocchia il Padre Eterno e i due tondi dell'Annunziata e dell'Arcangelo Gabriele (  riportati all'interno nel 1888; tre secoli dopo ).
Nel 1718 l’Architetto del Senato Andrea Palma disegna la nuova balaustra, eseguita dallo scultore Gioacchino Vitagliano. Vengono adoperati marmi siciliani come il Rosso Libeccio (colonnine monolitiche), paragone, bardiglio, Giallo di Castronovo , verde. Il contratto prevede il rifacimento degli scalini dell’altare maggiore (e degli altari laterali con le predelle), con un palmo e mezzo di pedata e la lucidatura.

La balaustra del 1718

Il 20 dicembre 1718 in modo da essere visibile per il S. Natale è collocata la base della balaustra in pietra rossa di Contorrana (contrada di Custonaci ) ed il sabato precedente la Domenica di Passione ( 25 marzo 1719), per essere visibile nella Settimana Santa, la balaustra di 49 palmi. E’ un mirabile esempio di mischio siciliano: la tecnica della lavorazione impiega marmi diversi ad intarsio su una lastra di base di marmo bianco; la perizia del Vitagliano offre elementi scultorei su tutta la superficie:  ovuli, rombi, dentelli, decorazioni, fregi.  Nella parte anteriore sono scolpiti due stemmi episcopali di Mons. Galletti: “Albero di quercia sormontato da un’aquila spiegata di nero, con corona d’oro” . Il motivo dei balaustri ripete per due volte cinque e tre elementi ( i due laterali sono stati spezzati nel restauro del 1888 ); nel 1735 viene restaurata dallo stesso Vitagliano.  

Lo stallo del Parroco


 



 

 

 



 

 






 

Il Coro

Nel 1739 lo scultore Pietro Marino realizza il nuovo Coro, disegnato dall’architetto Giuseppe Fama. 
Fu pronto la settimana precedente la Settimana Santa. La descrizione è tratta dal Capitolato d’appalto: 

“ E’ costituito da 18 sedili, di cui uno per Monsignor Parroco, due ai lati per i maestri di cerimonie e 16 per i presbiteri. 
Da entrambi i lati cassepanche con spalliera per i chierici; due porte: una per la sagrestia e l’altra di fronte finta. 
I legni adoperati sono il noce, di bel colore, stagionato e secco; tavole di castagno nelle predelle dei sedili dei presbiteri, tavole veneziane. 
Il sedile principale o “macchinetta” con tre gradini, pilastri, colonne, capitelli, architrave, fregio, cornice ed il posto per la statua di 
S. Antonio Abate a figura intera, con due puttini sopra i frontespizi con le scritte; due angeloni sopra i sedili dei maestri di cerimonie.
 
Il sedile con braccioli e “ taccone” di noce per appoggiare il sedere stando in piedi; agli angoli forma circolare con nicchie per le statue. Sopra i sedili le statue con tabellonetto sotto. Le spalliere si aprono agli angoli dei pilastri del cappellone per esservi da una parte l’archivio e dall’altra conservarvi i sagri ogli. Anche sopra questi armadi si dovranno porre le statue con i tabellonetti sotto”.           
I sedili o cassapanche davanti ai sedili dei presbiteri da una parte e dall’altra dovranno essere a gola rovesciata e si possano aprire e chiudere con serrature;  i braccioli dei sedili di sopra abbiano forma circolare per posarvi i breviari. Tutte le mensole sotto i sedili siano intagliate, così come i festoni”.
Le iscrizioni sotto le statue riportano: 

sullo stallo del Celebrante: “ S. Bernardus”;

lato destro
:
“ Olea sacra ”; 1) ? 2) ? 3) ? 4) S. Pachomius  5) ?
6) S. Romualdus 7) ? 8) ? 9) ? 10) S. Columbanus
11) Statuetta femminile
12) ? 
Scritta: “Chorvs”. 

Lato sinistro: 1) ? 2) S. Panokius ; angolo: statuetta femminile con bambino e la scritta “Charitas” 3) S. Macarius
4) S. Iuberlirius? 5)? 6) ? 7) ? 8) ? 9) ? 10) S. Idulphus ? 11) S. Goglielmus
12) ? 13) Olea sacra su targhetta.
   
Il 12 dicembre 1739 Antonio Marino pose attorno al Coro lastre di ardesia stagnate. Nello stesso anno viene rifatto da Mastro Bartolo Tuttisanti l’arco maggiore di grosse pietre quadrate, con due vele, poiché l’arco vecchio era pericolante. Il Cappellone viene rivestito con canne, calce e gesso. Nei quattro angoli vengono posti otto pilastri con capitelli uguali a quelli della navata. Sopra i capitelli architravi circolari, posti anche sopra i lunettoni; sopra gli architravi quattro pilastri con capitelli d’ordine composito, conchiglie  e legacci. Sopra la base dei pilastri i 4 Evangelisti a rilievo con il cartoccio sotto e l’iscrizione; sopra i pilastri uno stipite rotondo nel mezzo con il mondo, angeli ed una raggiera grande con un ostensorio o calice nel mezzo. Ai lati due quadroni con qualche puttino sopra, festoni e cartoccio. In mezzo alle finestre mondi con puttini, angeli, raggi e colombe. Alla base dell’arco una ghirlanda e festoni sopra l’arco. Nella chiave dell’arco è una tabella con due puttini (vedi esemplari di “cartocci ” o cartigli simili in San Giovanni dei Napoletani, Gesù, S. Maria la Nuova, S. Agostino, San Giorgio la Kemonia, S. Ninfa, S. Orsola, Oratori del SS. Rosario,  S. Lorenzo, S. Cita, S. Caterina d’Alessandria, Carminello, delle Dame, SS. Pietro e Paolo ).  
Le figure sono rinforzate con fil di ferro. Le opere di stucco sono di Francesco Alaimo. Due festoni sono uno dentro ed uno sopra l’arco maggiore. La testa in stucco (serafino) sopra la ghirlanda dell’arco maggiore è stata realizzata successivamente. (vedi simili decorazioni nella Chiesa Cattedrale di Palermo).
Nel 1757, per la riforma del cappellone ad opera dei Maestri Nunzio e Paolo Montalto sono rimossi tutti i sedili  nel fondo del Coro, tolti i sedili bassi  e creato l’ingresso agli stalli laterali nella parte centrale in linea retta con il sedile del Parroco (un punto superiore a quello del Celebrante, posto di fronte, senza colonne da porre nell’arco). Agli angoli del coro sono previsti genuflessori. L’altare e custodia vengono spiantati e posti nel fondo del cappellone. 
Il Maestro Francesco Corano rifà l’altare maggiore e la scalinata con cinque gradini sopra i due antichi e predella in pietra rossa di Castellammare. Dietro l’altare viene fatto un corridoietto con gradini per la custodia (apribile posteriormente) e l’alzata dell’altare per porvi i candelieri. Gaspare Serenario s’impegna a fare tre quadroni: uno per l’altare maggiore e due per il cappellone. 
Nel 1789 Pietro Marabitti intaglia 6 candelieri e 4 vasi di legname ( portapalme, n. d. A. ). Antonino Pellegrino dora i suddetti, colora a pietra l’altare maggiore, inargenta 6 candelieri di 4 palmi ciascuno e 4 vasi; colora in avorio la fodera dell’altare, indora una cornice di paliotto ed inargenta il globo di nubi per l’esposizione del SS. mo. Nello stesso anno l’architetto Carlo Chenchi disegna il nuovo altare alla Romana e relativo paliotto.
Nel 1805 viene ricostruita l’abside dall’architetto Nicolò Puglia e rimodernata nelle opere di stucco dai Maestri Antonino Gianserrata , Salvadore Guarneri e Giuseppe Calattiata. I mastri indoratori Francesco Bevilacqua e Gaetano Di Bella dorano con oro zecchino ed in parte con mistura d’argento gli intagli di stucco e la Gloria ( Agnus Dei ).  D. Vito Cuppolino, pittore, dipinge la cupoletta sopra l’altare maggiore e fa quattro figure rappresentanti le Virtù ed allunga la tela del quadrone dell’altare maggiore e riduce le due tele laterali.
Nel 1815 altro restauro dell’architetto Nicolò Puglia: Salvadore Guarneri, stuccatore , stucca nuovamente le cappelle della chiesa, ridorate ed adornate di marmi. 
In seguito al terremoto del 5 marzo 1823 la chiesa è seriamente danneggiata e si rese inagibile; nel 1830 il Decurionato ( Magistrato municipale ) stanzia 500 onze per il restauro.
I Parroci Salvatore Gandolfo (eletto nel 1820 ) e Francesco Paolo Vasquez (eletto nel 1837 ) la fecero risorgere con migliore splendore, arricchendola di non poche suppellettili ed adorni ( Cfr. Gaspare Palermo, op.cit.).  In precedenza lo era stata dai Parroci Vincenzo Dominici (nel 1614 quadri di S. Antonio e S. Carlo) e molto di più da Don Pietro Galletti (1703, Cfr. Mongitore, op.cit.) . L’appalto del restauro è affidato all’architetto Nicolò Ranieri, che cercò di riprodurre l’originario stile medioevale.   
Nel 1860 venne danneggiata dalle bombe in seguito agli attacchi borbonici ed il Parroco Andrea Maggio spese once 230,7.1 per i restauri: muratori, falegnami, stuccatori
( D. Ferdinando Lo Verso) riparano la Chiesa.   
Altro restauro nel 1888 dell’architetto Salvatore Li Volsi. Vengono rimossi i due stalli di noce, demolita la “carta di gloria” (cartoccio) nell’arco maggiore, creati 4 piedistalli per le colonne in pietra dell’Aspra (di cm.0,28 di diametro x 2,45 di altezza); otto colonne per adornare il cappellone con i capitelli imitanti il disegno di alcuni capitelli del Chiostro di Monreale. Viene smentita la tesi del Giuliana Alaimo secondo il quale erano state costruite da Gian Paolo Falcone nel 1570.   
Viene costruito il contrarco gotico di mattoni, costruita una cornice attorno alle cappelle e piloni, 4 lunette a crociera nelle due cappelle accanto al cappellone, soglio negli angoli delle cappelle per le 4 colonne; rivestimento delle colonne e di quelle del cappellone a stucco lucido imitante il granito ed i capitelli imitanti il marmo bianco; ricollocazione di due medaglioni con l’Angelo, la SS. Annunziata ed il SS. Salvatore (Padre Eterno), ricollocazione della custodia del SS. mo, cornice attorno al quadro di S. Antonio a stucco, ricollocazione di marmi, demolizione degli altari laterali e costruzione di due cappelle al centro delle due navate laterali in stile gotico. 
Tutt’ attorno alle pareti, come nel Duomo di Monreale e nella Cappella Palatina, viene realizzata una fascia marmorea, inframezzata da fregi ornamentali a finto mosaico e con il motivo del fiordaliso nella parte superiore. 
Gravemente danneggiata dai bombardamenti della 2^ Guerra Mondiale la Parrocchia viene restaurata nel 1951, anno in cui si celebra con solennità il 17° Centenario della nascita di
S. Antonio Abate ( 251 d.C.).
Un altro restauro si ebbe nel 1960 con la rimozione delle ninfe ( lampadari ) del presbiterio, degli altari laterali e due dalla navata ed il rifacimento dell’impianto elettrico. Fino a quell’anno i fili della illuminazione erano tutti esterni e con interruttori manuali a leva. Nel 1972 la sig.na Adele Bucca fa restaurare l’organo a canne, così come ricordato da una targa apposta sullo stesso strumento musicale.
E’ stata chiusa al culto nel 1990 per il degrado del paramento murario e le frequenti infiltrazioni d’acqua dal soffitto, che hanno rovinato l’arco gotico e le due cappelle collaterali. Sono stati tolti tutti quadri che la adornavano, il Crocifisso del Cinquemani, l’Ecce Homo. Il 27 ottobre 1993 sono stati oggetto di furto parecchi mezzi busti lignei di Santi abati
( episodio  segnalato al Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dei Carabinieri ) che ancora non sono stati rinvenuti.

Nel 1997 è stato eretto un ponteggio in tubi Dalmine tutto attorno alla costruzione e ricoperto il tetto con lamiera; il restauro ha interessato in un primo tempo la torre campanaria per consolidarla, scrostarla, eliminando le superfetazioni (cucina del Cappellano al centro della torre), ma distruggendo l’orologio da torre, perfettamente funzionante ( il Municipio pagava fino agli anni ’70 il sacrestano per darvi la carica, che avveniva manualmente agendo su una manovella che alzava tre grossi contrappesi in pietra e sugli scappamenti ) .Chissà se il Senato ( Municipio ) di Palermo vorrà restituire alla sua Chiesa Parrocchiale l’orologio che ha segnato il tempo della Città per 500 anni ! Rimane muto testimone il quadrante a forma di sole con le sfere ( lancette ).
Nel 1998 sulla facciata è una targa che segnala il restauro per un importo di lire 183.078.162 da parte della Provincia Regionale di Palermo ( Assessorato Recupero Conservazione Fruizione Beni Culturali ) su progetto della Soprintendenza ai BB. CC. AA. eseguito dall’Impresa “Costruzioni s.r.l.” Nel mese di novembre viene costruito un ponteggio all’interno del presbiterio per salvare dal crollo l’arco gotico, ormai pericolante, poichè impregnato dalle acque meteoriche.
Nell’anno 2001, il 22 luglio, la Chiesa Parrocchiale è stata riaperta al culto dal Cardinale Arcivescovo Salvatore De Giorgi, che ha presentato al popolo cristiano il nuovo Parroco Don Rosario Mario Renna, Economo Diocesano, che ha quindi celebrato l’Eucaristia. Lo stesso, dall’Arcivescovo, è stato immesso nel Possesso Canonico della Parrocchia il 1 Novembre 2001, Solennità di tutti i Santi, alla presenza del Commissario Straordinario al Comune di Palermo, Dr. Guglielmo Serio, che ha donato un calice a nome dell’Amministrazione Comunale.
Viene quindi ripresa la normale attività parrocchiale, con la celebrazione della Messa nei giorni feriali e festivi e la celebrazione della Notte di Natale.
Nel mese di luglio il Parroco fa realizzare n. 18 panche per la Chiesa; nel mese di novembre colloca all’altare del SS. mo due lampade argentee settecentesche e davanti alla balaustra il nuovo ambone ligneo.
Nell'anno 2007
il Parroco fa realizzare il nuovo Altare Maggiore " versus populum " pienamente inserito nel Coro ligneo del 1739 e vi colloca i due bassorilievi lignei dell'altare romano raffiguranti due sacerdoti dell'Antico Testamento che offrono il Sacrificio e l'incenso.
Il 1 Gennaio 2009 ignoti vandali rompono il vetro dell'edicola dell' Ecce Homo sulla Via Roma. La sensibilità del Popolo Palermitano interviene per sottoporre la venerata Immagine a restauro.